Mussolini e il «grande impero» – L’espansionismo italiano nel miraggio della pace vittoriosa (1940-1942)

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Quando la vittoria sembrava a portata di mano e l’Italia sul punto di guadagnare un facile, quanto imprevisto, successo militare, nei vari ministeri del governo di Mussolini si iniziò a pensare a come tradurlo in termini territoriali. Fu nell’estate del 1940 che presero fattezze ben definite i progetti di espansione territoriale e coloniale del fascismo in Africa e nel vicino-medio Oriente: oltre alle tradizionali rivendicazioni irredentistiche come Corsica, Nizza, Dalmazia e Malta, le amministrazioni militari e politiche misero sulla carta un piano di integrale sostituzione italiana nei vari possedimenti africani-asiatici inglesi; non solo, ma si mirava pure a non pochi possedimenti francesi, sì da ridimensionare notevolmente anche l’impero di Parigi. Si trattava di un programma molto ambizioso, anche ben oltre le effettive potenzialità italiane, che tirava in ballo una serie di problematiche rilevanti, quanto forse troppo impegnative. Non solo occorreva definire con esattezza i rapporti con l’alleato tedesco, ma si doveva realizzare una nuova politica economica, commerciale e monetaria: si trattava poi di precisare i nuovi “spazi vitali”, i contorni istituzionali e ideologici della “nuova Europa”, e infine persino nuove politiche sociali e razziali. Insomma, la corsa alla ridefinizione delle carte geografiche doveva essere supportata da un gigantesco impianto teorico che desse giustificazione ideologica e dottrinaria a questo nuovo ordine geopolitico e territoriale. Anche l’intero mondo scientifico e accademico venne mobilitato, e molti intellettuali parvero invero disposti a credere alle possibilità di realizzare seriamente un nuovo grande impero di Roma.

Brossura, 17 x 24 cm. pag. 334

Stampato nel 2016 da Edizioni dell’Orso

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Giuseppe Pardini

Quando la vittoria sembrava a portata di mano e l’Italia sul punto di guadagnare un facile, quanto imprevisto, successo militare, nei vari ministeri del governo di Mussolini si iniziò a pensare a come tradurlo in termini territoriali. Fu nell’estate del 1940 che presero fattezze ben definite i progetti di espansione territoriale e coloniale del fascismo in Africa e nel vicino-medio Oriente: oltre alle tradizionali rivendicazioni irredentistiche come Corsica, Nizza, Dalmazia e Malta, le amministrazioni militari e politiche misero sulla carta un piano di integrale sostituzione italiana nei vari possedimenti africani-asiatici inglesi; non solo, ma si mirava pure a non pochi possedimenti francesi, sì da ridimensionare notevolmente anche l’impero di Parigi. Si trattava di un programma molto ambizioso, anche ben oltre le effettive potenzialità italiane, che tirava in ballo una serie di problematiche rilevanti, quanto forse troppo impegnative. Non solo occorreva definire con esattezza i rapporti con l’alleato tedesco, ma si doveva realizzare una nuova politica economica, commerciale e monetaria: si trattava poi di precisare i nuovi “spazi vitali”, i contorni istituzionali e ideologici della “nuova Europa”, e infine persino nuove politiche sociali e razziali. Insomma, la corsa alla ridefinizione delle carte geografiche doveva essere supportata da un gigantesco impianto teorico che desse giustificazione ideologica e dottrinaria a questo nuovo ordine geopolitico e territoriale. Anche l’intero mondo scientifico e accademico venne mobilitato, e molti intellettuali parvero invero disposti a credere alle possibilità di realizzare seriamente un nuovo grande impero di Roma.

Brossura, 17 x 24 cm. pag. 334

Stampato nel 2016 da Edizioni dell’Orso

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