Gli Assiri. Ascesa e caduta del primo impero al mondo

Monddori

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    Gli Assiri. Ascesa e caduta del primo impero al mondo

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    Eckhart Frahm

    Nell’estate del 671 a.C. l’esercito del re Esarhaddon attraversò la penisola del Sinai, entrò in Egitto e si impossessò della terra dei faraoni. Migliaia di prigionieri furono condotti a Ninive, la capitale del regno assiro, un immenso impero che dal Mediterraneo si estendeva all’Iran occidentale e dall’Anatolia arrivava al Golfo Persico. La conquista dell’Egitto fu il culmine di un lungo viaggio attraverso la storia. Un viaggio iniziato nella seconda metà del III millennio a.C. ad Assur, una piccola città che nel corso di alcuni secoli assunse un ruolo di primo piano nel commercio internazionale, accumulò una notevole ricchezza e divenne il centro di uno stato con una monarchia bramosa di misurarsi con le grandi potenze dell’epoca e di estendere i confini nazionali con la forza delle armi. Fu proprio la guerra, infatti, la cifra della politica assira, l’espressione della sua hýbris imperiale. Feroci e spietati, i re assiri diventarono così il simbolo del «dispotismo orientale», nonché l’emblema della corruzione dei costumi, e le loro città finirono con l’incarnare l’«alterità» rispetto alle capitali religiose, culturali e politiche dell’Occidente. Ma l’Assiria, a lungo conosciuta soltanto attraverso la Bibbia ebraica e i testi degli autori greci, non fu soltanto un regno oppressivo e sanguinario. La circolazione delle merci e delle idee, i centri urbani ornati di giardini, le sculture monumentali, la scrittura, i grandi poemi epici, le ricche biblioteche, un efficiente apparato burocratico e una società cosmopolita ne fecero una delle più fiorenti civiltà del mondo antico. Essa fu il primo grande organismo sovranazionale, un modello per gli imperi successivi

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    La memoria bruciata

    22.00

    Mario Castellacci

    La gran parte di coloro che, dopo l’8 settembre aderirono alla Repubblica Sociale Italiana, non avevano ancora vent’anni. Ad ingrossare le file dei “repubblichini” non accorsero solo i fascisti, vi accorsero anche molti ragazzi al grido di “viva l’Italia”, ragazzi che semplicemenmte pensavano si dovesse restare fedeli a certe idee di Patria, Onore, Fermezza, disposti farsi uccidere per questi ideali. A questa categoria appartiene Mario Castellacci, a cui toccò scrivere le parole di quella canzone straffotente, il cui verso iniziale… “Le donne non ci vogliono più bene” divenne la colonna sonora di una generazione emarginata che poi, a guerra finita, fece della propria emarginazione una bandiera, un segno di sprezzante distinzione.

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