Pubblicato negli Stati Uniti nel 1920, La crescente marea di colore analizza i profondi mutamenti demografici, economici e geopolitici che, secondo Lothrop Stoddard, avrebbero ridefinito gli equilibri mondiali nel XX secolo. L’autore, all’indomani della Prima guerra mondiale, osservava come l’indebolimento delle potenze europee, unito alla crescita delle popolazioni non bianche, stesse preparando il terreno per una trasformazione dell’ordine internazionale. La pressione demografica esercitata dall’Africa, in particolare con l’espansione delle popolazioni nere, e il rafforzamento del mondo islamico, consolidato da una forte identità culturale e religiosa, emergevano come fattori chiave di questo processo. Stoddard esamina altresì l’impatto dell’immigrazione asiatica sulle economie industrializzate. L’accettazione di salari inferiori e di condizioni di impiego più precarie e gravose da parte degli immigrati determinava, infatti, un abbassamento generale dei compensi, modificava gli equilibri sociali e alimentava tensioni con i lavoratori autoctoni. A questa prima fase ne stava facendo seguito un’altra ancora più significativa: l’industrializzazione dell’Asia e, in particolare, della Cina, che, adottando modelli produttivi occidentali, si trasformava in una potenza manifatturiera in grado di competere direttamente con l’Europa e l’America. Un fenomeno questo che, secondo l’autore, non solo avrebbe accelerato il declino della supremazia industriale occidentale, ma poneva le basi per una nuova fase della competizione economica su scala globale.
Pubblicato nel 1922, “Revolt against civilization” di Lothrop Stoddard offre un’analisi delle forze che, secondo l’autore, minacciano la stabilità di ogni civiltà avanzata. Al centro della riflessione vi è il presupposto che alcuni individui, che l’autore caratterizza con il termine “subumani”, siano incapaci di sostenere la crescente complessità delle società moderne. Questi soggetti, spinti da un richiamo atavico, si ribellano contro la civiltà e le sue manifestazioni, contribuendo ad un processo di regressione che conduce inevitabilmente al caos. Un concetto, questo, che con la traduzione tedesca del 1925 – pubblicata con il titolo “Der Kulturumsturz: Die Drohung des Untermenschen” – trovò ampia diffusione nella futura Germania nazionalsocialista. Stoddard sostiene che le naturali disuguaglianze, inesorabili e imprescindibili, determinano il destino delle civiltà. Quando tali disuguaglianze vengono ignorate o sono sovvertite da movimenti rivoluzionari ed ideologie egualitarie, si innesca un processo di decadimento che erode le fondamenta delle società.
A fine ottobre del 1939, in un’Europa scossa dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, Lothrop Stoddard, giornalista e studioso americano, si reca nella Germania nazionalsocialista per documentarne la vita quotidiana. Durante il suo soggiorno, ha l’opportunità di intervistare figure di rilievo del Terzo Reich, tra cui Adolf Hitler, Heinrich Himmler, Joseph Goebbels e Robert Ley. Attraverso quelle conversazioni e le sue osservazioni sul campo, l’autore ha potuto offrire un resoconto dettagliato delle dinamiche interne al regime, analizzando aspetti essenziali come la propaganda, le politiche razziali e le condizioni di vita della popolazione tedesca nel contesto bellico. Alla sua pubblicazione negli Stati Uniti, il libro suscitò un dibattito acceso: se da un lato venne apprezzato per l’accuratezza nel descrivere la realtà del Terzo Reich, dall’altro fu criticato per un presunto atteggiamento troppo neutrale o indulgente verso la Germania nazionalsocialista. La rivista Time, pubblicando una versione ridotta della sua intervista con Goebbels, non mancò di accusare Stoddard di eccessiva compiacenza nei confronti del nazionalsocialismo. Con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’opera contribuì poi a minare la reputazione dell’autore, relegandolo progressivamente ai margini del panorama intellettuale americano. Oltre l’oscuramento rimane tuttavia una testimonianza storica di grande valore, un viaggio nel cuore della Germania hitleriana narrato con precisione e attenzione ai dettagli.
Correva l’anno 1924 quando Lothrop Stoddard – laurea all’Università di Harvard e Ph.D in Storia – nel suo “Racial Realities in Europe” aveva già previsto tutto: dalla nascita di una nuova Germania nel 1933 all’annessione dell’Austria nel 1938, dalla decadenza di Spagna e Portogallo alle guerre iugoslave del 1991, dal crescente abisso tra il Nord e il Sud Italia alle rivolte degli immigrati di seconda generazione. Come ha potuto un uomo, al di là dell’Oceano Atlantico, prefigurare eventi che sarebbero avvenuti solamente molti anni dopo? La risposta, già racchiusa nel titolo stesso del libro, si dipana tra dense pagine che ripercorrono con agilità la storia europea. Una risposta che, oggi, sicuramente suonerà sgradevole alla maggioranza, ma che, tra fine ‘800 e prima metà del ‘900, andava a spiegare scientificamente molti, troppi interrogativi tanto in America quanto altrove.
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