D’Annunzio, la massoneria e le barricate di Parma

18.00

Franco Morini

Nell’estate 1922, il capitolo “possibilità di una rivoluzione fascista con D’Annunzio” era chiuso. Il mito dannunziano, pur non del tutto tramontato, aveva subito un notevole processo di invecchiamento. Ma la propensione per la solitudine, tipica in D’Annunzio dai giorni della Versiliana a quelli della Capponcina, a quelli delle Lande, a quelli della casetta rossa veneziana, assegnava un valore perenne all’ignoto del quale ogni sua decisione si ovattava. La sua irraggiungibilità si trasformava quasi sempre nell’immaginazione di una più che fatale indispensabilità della piazza. Gli arditi che difendevano “Il Popolo d’Italia”, unica centrale della rivoluzione, avevano militato nelle sue disperate compagnie corsare. Gli avversari del Fascismo avevano anch’essi una loro città contro la cui comunalistica indipendenza nulla aveva potuto lo Stato nell’aprile, nel maggio, nel giugno 1908: Parma. Contro Parma, nulla avevano potuto le sperimentate milizie di Balbo in questo stesso 1922. Il Comandante era troppo fine politico per non valutare i pericoli che il rivoluzionarismo tipo Parma avrebbe introdotto in una situazione nazionale la cui incertezza poteva essere annullata soltanto dalla rivoluzione fascista che si stava conducendo a maturazione. Di qui, il sostanziale favore che il Comandante non poteva non riservare a favore dell’intervento contro i rivoluzionari.

Brossura, 13 x 19 cm. pag. 122

Stampato nel 2023 da All’Insegna del Veltro

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Franco Morini

Nell’estate 1922, il capitolo “possibilità di una rivoluzione fascista con D’Annunzio” era chiuso. Il mito dannunziano, pur non del tutto tramontato, aveva subito un notevole processo di invecchiamento. Ma la propensione per la solitudine, tipica in D’Annunzio dai giorni della Versiliana a quelli della Capponcina, a quelli delle Lande, a quelli della casetta rossa veneziana, assegnava un valore perenne all’ignoto del quale ogni sua decisione si ovattava. La sua irraggiungibilità si trasformava quasi sempre nell’immaginazione di una più che fatale indispensabilità della piazza. Gli arditi che difendevano “Il Popolo d’Italia”, unica centrale della rivoluzione, avevano militato nelle sue disperate compagnie corsare. Gli avversari del Fascismo avevano anch’essi una loro città contro la cui comunalistica indipendenza nulla aveva potuto lo Stato nell’aprile, nel maggio, nel giugno 1908: Parma. Contro Parma, nulla avevano potuto le sperimentate milizie di Balbo in questo stesso 1922. Il Comandante era troppo fine politico per non valutare i pericoli che il rivoluzionarismo tipo Parma avrebbe introdotto in una situazione nazionale la cui incertezza poteva essere annullata soltanto dalla rivoluzione fascista che si stava conducendo a maturazione. Di qui, il sostanziale favore che il Comandante non poteva non riservare a favore dell’intervento contro i rivoluzionari.

Brossura, 13 x 19 cm. pag. 122

Stampato nel 2023 da All’Insegna del Veltro

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